mercoledì, dicembre 20, 2006
lunedì, dicembre 18, 2006
ecco i primi
Finalmente sono quasi in vacanza e, tra un saggio di musica e una festa all’asilo, posso dedicarmi alla mia sfrenata passione: biscottare.
Ma prima il dovere poi il piacere, per cui beccatevi questa foto delle mie amatissime erbazze in veste invernale: una festa di gialli, beige, azzurrini polverosi, colori ghiacciati, incantevoli, specialmente al mattino coperti di brina e luccicanti al sole, la bella siepe di bosso scura e solida fa da quinta laterale, mentre il fondo in legno combina in se tutti i colori delle graminacee e delle altre foglie secche.
Ma adesso sparati in cucina che la prima infornata (veramente durata una domenica intera, tra preparazione degli impasti, cottura e decorazione!) manda il suo buon profumino; per ora è ancora un profumino, ma già oggi pomeriggio, entrando in casa, mi è venuta l’improvvisa voglia di farmi fuori un vasetto di capperi!
I miei biscotti natalizi preferiti, i Kipferln, cornetti, qui declinati in tre goduriose varianti
Vanillekipferln (cornetti alla vaniglia) Nusskipferln (cornetti alle noci) e Schokokipferln (cornetti del convento)
Le ricette sono tratte dall’insuperabile “I dolci”, di Annelise Kompatscher, ed. Athesia, ma hanno subito anni e anni di piccole modifiche.
La pasta dei cornetti in tedesco si chiama Rührteig (pasta rimescolata-rimestata,aiuto pasticceriveri come si chiama in italiano?) ed è una pasta a base di moooolto burro, farina e noci varie, che va maneggiata il meno possibile, meglio farla nel mixer, e poi lasciarla qualche ora nel frigo (io ce la lascio anche un paio di gg, bella avvolta nella stagnola).
Ho impastato velocemente 280 g di farina setacciata, 200g di burro, 70 g, di zucchero, 100g di mandorle o noci spellate e macinate molto finemente e un bel pizzico di sale e uno di vaniglia naturale in polvere. La pasta deve risultare un po’ granulosa, con la cottura diventa squisita e croccante, forse occorre dare una leggera impastatina a mano.
Ho fatto dei salamotti e li ho messi in frigo per alcune ore; ne ho presi dei piccoli pezzi e ho formato i cornetti. Li ho posati su una teglia coperta da cartaforno e ho infornato a 180 per circa 7-8 minuti, appena le punte diventano rosate sono pronti. Li ho raffreddati appena e li ho tuffati ancora belli caldi in un piatto colmo di zucchero e vaniglia naturale in polvere. Attenzione, questa operazione va fatta con estrema cautela, aiutandosi con spatole e forchette, da caldi, questi cornetti si disintegrano in un soffio!
Per i cornetti del convento il procedimento è uguale, ma le dosi sono le seguenti: farina 140g, burro, 100g, noci macinate 90g, cioccolato fondente grattugiato 40g, zucchero 50g, 1 tuorlo, una presa di vaniglia e una bella presa di sale (mi raccomando aggiungete il sale e in abbondanza, altrimenti diventano stucchevoli).
A domani con le frolle, saluti golosi cat
giovedì, dicembre 14, 2006
stropari
Quando mi capita di incontrare un vecchio salice da ceste (Salix viminalis) , tutto bitorzoluto e con il suo ciuffo di nuovi rami sparati, penso sempre che mi piacerebbe realizzare un giardino di soli salici e fossi; un giardino umido, fresco, che abbia un po’ il gusto del paesaggio agrario.
Nel mio sogno penso ad un prato solcato da fossi e rigagnoli d’acqua, abitato da una famiglia di sculture-salice.
Bello in estate e primavera, con l’erba alta, i ranuncoli gialli, le rane e i rospi e le lunghe alghe che si muovono lente al ritmo del rumore dell’acqua, misterioso in autunno, con i salici fluorescenti che illuminano la nebbiolina che sale dai fossi, e magico in inverno, col fosso ghiacciato e la neve che mette in risalto la bizzarria dei salici capitozzati.
Ormai nelle campagne è rarissimo incontrare uno “stroparo” (salice da stroppe, legacci per le vigne, oggi sostituiti da comodi, ma meno ecologici, legacci in plastica) ma per fortuna queste piante godono di nuova popolarità.
La facilità di attecchimento e l’elasticità dei rami li rende impareggiabili per creare sculture viventi, capanne, tunnel, recinti, che in primavera si rivestono di un manto di foglie che dà corpo alle sculture, una vecchia tradizione, che oggi può assumere nuove forme interessanti.
Oggi è tutto ispirato a colori invernali, anche il risotto che mi sono fatto per la pausa pranzo e , approfittando del nuovo termine per il meme del cavoletto, provo a partecipare anch’io.
RISOTTO AL SEDANO RAPA, TIMO E NOCI
Ho soffritto in olio e.v.o. due scalogni, una puntina di aglio e un po’ di timo, ho aggiunto una tazza scarsa di gherigli di noci e una tazza colma di riso (violone nano lavorato con pestelli in bronzo) e ho tostato e soffritto per bene. Poi ho aggiunto una bella testa di sedano rapa, sbucciata e tagliata a piccoli cubetti (con tutte quelle insenature e bitorzolature una vita tagliarlo a cubetti regolari!) e ho proseguito la “sofrittura” (ma come si dirà? – ah, occhio a non alzare troppo la fiamma, altrimenti bruciacchia tutto, specialmente le noci!), ho aggiunto il brodo vegetale necessario, ho aggiustato di sale e pepe e ho portato a cottura. Ho mantecato con un cucchiaione di olio crudo e una bella grattata di pecorino romano, e ho accompagnato con una cialdina di pecorino e un pizzico di timo.
La cialdina si fa come i cestini: padellino mignon antiaderente, cucchiaiata di pecorino grattato, fuoco vivo finché non si colorano i bordi, si leva con la spatola e si fa raffreddare accartocciandola!
Saluti golosi cat
domenica, dicembre 10, 2006
sai perchè ?
(Le foglie, in ordine di apparizione: Hydrangea quercifolia; Cornus florida "Rainbow", Berberis x media "Parkjuweel")
Al parco godendosi gli ultimi colori autunnali (lo so che siamo già in inverno!)
Piccolo mostro: papi perché le foglie divetano rosse?
Cat: perché la natura, prima di andare a dormire, ci vuole regalare ancora uno spettacolo di arrivederci e allora organizza una festa e colora le foglie di rosso!
Piccolo mostro: maddai! Io ti chiedevo la spiegazione scientifica!
Cat: hem! devo andare a fare un ripassino…
E allora, se anche voi doveste trovarvi di fronte un piccolo mostro senza pietà eccovi la risposta!
Innanzitutto cambiano colore solo le foglie delle piante più evolute, le novelline di soli 100 milioni di anni, quelle che si sono dovute evolvere. L’avvento delle stagioni, e la conseguente disponibilità d’acqua e di luce, hanno spinto le piante a creare il periodo della fertilità e il periodo del riposo.
Quando vengono a mancare le condizioni ideali per la fotosintesi (poca luce e poca acqua) , la pianta decide di liberarsi di tutto ciò che non le serve più, fa il cambio stagionale dell’armadio, solo che povere! Loro restano nude!
Ma la natura ci dà ancora una volta e come sempre, una grande lezione di economia!
Prima di liberarsi del fardello delle foglie, ormai non più utilizzabili, le piante cercano di “riassorbire” da queste le sostanze e i composti più preziosi, quelli che hanno trasformato con molta fatica con la fotosintesi.
Proprio come fare lo zaino per un lungo viaggio faticoso: si portano solo le cose più preziose, o quelle che siamo sicuri di non trovare, mentre lasciamo a casa le cose che possiamo facilmente reperire ovunque.
Le piante lasciano nelle foglie solo quelle sostanze che consumerebbero troppa energia per poter essere “ri-immmagazzinate”, mentre sarà più semplice trasformarle con la fotosintesi la primavera successiva.
E per nostra fortuna e godimento, le sostanze che rimangono nelle foglie sono dei carotenoidi e delle xantofille, che, come dice il nome stesso, sono sostanze colorate di giallo e arancio.
Ma la magia non è ancora finita, se durante l'autunno le temperature si abbassano, il “risucchio” delle sostanze preziose rallenta e nelle foglie si accumulano sostanze zuccherine che, a quelle concentrazioni, producono altre sostanze, le antocianine, che ci regalano lo spettacolo delle foglie rosse e violette (in pratica è come se le piante, strafocatesi di zuccheri, si beccassero una bella congestione a causa del freddo, diventando paonazze e cianotiche!).
Il piccolo mostro ha gradito la spiega, e si è fatto perdonare per la poca poesia (ma i bambini hanno una coscienza poetica?) inventando un nome bellissimo per il noce nero americano sotto il quale sedevamo: albero dei nasi di maiale! (mi sono sbellicato!)
E adesso, di corsa prima che torni mrs. Bee, un’altra ricetta proibita, non proprio croccante!
POLENTA DI MIGLIO CON POLPETTE DI LENTICCHIE E ZUCCA
La polenta di miglio mi piace molto, non ai livelli di quella di mais, ma è sicuramente una valida alternativa, e sicuramente non geneticamente modificata (chi se lo cala il miglio?)
Ho messo a bollire 8 tazze di acqua, leggermente salata, e, a bollore, ho aggiungo una tazza di farina di miglio macinata fresca (le tazze devono essere piccole, altrimenti vi viene un pentolone di polenta che vi tocca poi mangiare abbrustolita, pasticciata…ah ma allora lo fate apposta?)
Ho lasciato cuocere 40’ a fuoco lento, come la polenta tradizionale.
Nel frattempo ho soffritto in olio e.v.o. 2 cipolle tritate con semi di finocchio e peperoncino, ci ho aggiunto tre belle manciate di cubetti di zucca (li avevo pronti in freezer) e un paio di tazze di lenticchie già lessate, ho fatto soffriggere bene, ho aggiunto un po’ di acqua, ho regolato di sale e ho portato a cottura, fino allo spappolamento della zucca.
Ho lasciato raffreddare e poi ho aggiunto un paio di manciate di pane grattugiato, un bel cucchiaione colmo di parmigiano e uno di prezzemolo tritato, ho messo negli stampini al silicone e ho cotto a bagnomaria in forno caldo (200°) per 15’.
Ho servito le “polpette” con la polentina di miglio e una bella insalata amarognola di radicchio veronese, quello tondo, viola, che se lo tagli lungo i paralleli, sembra una rosa!
A me e al mostro più piccolo è piaciuto parecchio, mrs. Bee è fuggita, come sapete!
martedì, dicembre 05, 2006
meme di Natale: Zelten
Questa notte arriva San Nicolò e, come ricordava la Pat, è ufficialmente iniziata la stagione dei biscotti e dei dolcetti di Natale (con buona pace di mrs. Bee, che ogni anno minaccia di tornare da sua madre, e quest’anno invece, ha deciso che se la svigna a Londra con le amiche. E non sto scherzando!).
Ogni anno c’è la fregola dei biscotti, conosco manager (donna) che prendono ferie per confezionarli con le loro manine, e una volta, una cliente divertente ma un po’ fuori di testa, ha voluto assolutamente che andassi a fare i biscotti a casa sua, per fare in modo che la casa profumasse di biscotti durante una festa di compleanno! (e non commentate malignamente che c’è mrs.bee ronzante da queste parti).
Ogni anno setaccio le bancarelle, gli scaffali delle librerie (specialmente quelle in tedesco) alla ricerca della ricetta più insolita, ma poi, dopo un primo momento di euforia, mi sembra sempre che le vecchie ricette raggiungano vette di golosità insuperate. (lo so che sono un po’ conservatore, ma solo sui biscotti ve lo garantisco!).
Il post sui biscotti, su come comporre il cestino “come si deve!” lo facciamo più avanti, oggi voglio partecipare al meme di nanna, e lo faccio con la più tradizionale delle ricette natalizie sud-tirolesi: il Zelten (lo so che si dovrebbe dire lo zelten, ma se lo dite ad un bolzanino vi guarda storto!).
Il zelten è un panforte di origini antichissime, medievali, rinascimentali, per certo non si sa, dato che il medioevo (gotico in arte) dalle nostre parti è durato parecchio oltre il 1400.
Il zelten tirolese è un pane di segale arricchito di frutta secca e frutta candita, molto speziato, e, come tutte le ricette antiche, privo di zucchero raffinato, il dolce è dato dalla frutta e dal succo di frutta concentrato.
Anche in trentino si fa il zelten, ma è più una crostatona con frutta secca che un panforte! (hehe, qui è partita l’annosa questione sul zelten trentino e quello tirolese, che insieme alla diatriba sui canederli, quelli trentini sono palle durissime al limite del commestibile :-), anima le questioni di tavola, tra i due vicinati).
Allora, armatevi di tanta pazienza e tuffatevi in questa laboriosissima preparazione:
ZELTEN FRUTTATO ALLA BOLZANINA
E mica potevo prendere la pasta di pane dal fornaio come fanno tutti, per chi mi avete preso?, c’ho un blogghe rispettato io!
Allora la settimana scorsa ho cominciato ad allestire la pasta acida, per la preparazione del pane di segale: Ho preso 100 g di farina di segale integrale macinata fresca e l’ho mescolata a 100 g di acqua, rigorosamente a 40° e ne ho fatta una pappetta (consiglio: utilizzare comunque una ciotola molto capiente, perché la pappetta aumenta coi giorni!! E meno si tocca meglio è!). Ho coperto la ciotola per bene con la pellicola, l’ho avvolta in uno strofinaccio e ho lasciato riposare 48 ore. Dopodiché ho aggiunto altri 100 g di farina di segale int. E 100 g di acqua a 40°), di nuovo mesolato, impellicolato e lasciato riposare per 24 ore, sempre in luogo caldo (min 20°). Il quarto giorno ho aggiunto 200 g di farina e 200 g di acqua (40°), mescolato, domopaccato e lasciato riposare 24 ore, la zappetta ribolle bella viva (fa anche un po’ impressione a pensarci su) e manda un profumino di yogurt alle nocciole. Sempre il quarto giorno (sembra una ricetta da creazione biblica...il quarto giorno spezzettò le mandorle..) bisogna cominciare a preparare la frutta per il ripieno.
Ogni casa ha il suo zelten, ma la ricetta base prevede solo piccole varianti, io ho scelto: 250 g di sultanina, 250 g di corinten (quelle uvette giganti, che se apri la confezione la devi finire!), 250 g di fichi secchi, 250 g di prugne secche, 250 g di albicocche secche, 250 g di datteri, 120 g di pere secche, 120 g di mele secche, 300 g di noci sgusciate, 250 g di mandorle sgusciate ma non pelate, ho tagliato tutto a tocchettini e ho messo a bagno, per tutta la notte, con un bel bicchiere di spirito di prugne, il succo e la scorza grattugiata di tre limoni e tre arance, tre cucchiai colmi di cannella in polvere, un cucchiaino di chiodi di garofano in polvere, un pizzicone di zenzero e un cucchiaino di coriandolo. Il giorno dopo ho impastato tutta la pasta acida (tranne 100 g per riprodurre io lievito) con 800 g di farina di segale integrale, un bel pizzicone di sale, un cucchiaio colmo di semi di anice tritati e l’acqua a 40° necessaria per ottenere una pasta soda ed elastica (ocio che la segale appiccica molto). Ho fatto una pagnotta e l’ho messa a lievitare per un’ora in luogo caldo, coperta da uno strofinaccio umido. Ho impastato ancora un po’ il pane e ci ho aggiunto, sulla spianatoia, il composto di frutta. La dose che vi ho proposto è da caserma! Sul tavolo c’era un enorme barbapapà grumoso e profumato, un casino da impastare, la mano sprofondava fino oltre il polso, ma alla fine sono riuscito a domarlo! Con le mani bagnate da succo di mela concentrato, ho formato delle pagnottelle quadrate, tonde, come volete voi (le quadrate si incartano meglio!), che ho messo sulle teglie protette da cartaforno, e ho lasciato lievitare 20’. Nel frattempo ho acceso il forno su max . Ho infornato a 200°, i zelten devono cuocere a fuoco alto per circa 40’, altrimenti si seccano troppo, ma bisogna avere l’accortezza di pennellarli spesso con succo di mela o di frutta con qualche cucchiaiata di miele, che li protegge dalle scottature e li rende lucidi e golosissimi. Fatti raffreddare, vanno impacchettati con la pellicola, i più ecologici potranno utilizzare carta oleata, e vanno lasciati impregnarsi dei loro profumi fino a Natale! Con la scusa delle foto oggi ne abbiamo già fatto fuori uno, che sapore speciale, una fettina tira l’altra! L’uso prolungato può dare effetti collaterali (restringimento improvviso dei pantaloni, magica scomparsa dei buchi sulla cintura ecc.) CONSUMARE CON CAUTELA, adatto anche in caso di gravidanza. Saluti golosi cat