pomi
La foto che pubblico oggi è di qualche settimana fa, l’avevo dimenticata nel mio “ordinatissimo” archivio.
E’ un albero di mele selvaggio, informale, libero e bellissimo.
Dalle mie parti è tutto un meleto, al lavoro sono circondato da meli a perdita d’occhio, e allora, mi direte, cosa ci trovi in un albero di mele? Non in un albero di mele, in questo albero di mele, finalmente libero dalle forme delle colture intensive.
Mi sembra che, con la sua libertà, riscatti tutti i poveri cugini potati, imbrigliati, forzati, imbragati e spruzzati con la qualunque!
Poveri meli, e pensare che anche con la più drastica delle potature non perdono la loro grazia, specialmente durante la fioritura!
Lo so che sarebbe un delirio raccogliere le mele su alberi non potati, e che le colture intensive non sono cose da romantici, ma almeno qua e là, nella campagna superpettinata, qualche esemplare di vecchio melo libero non mi dispiacerebbe incontrarlo, anche un pero, un susino, un pruno, niente! Tutti spariti, eliminati; li ritrovo solo nei miei ricordi di bambino quando, dopo la raccolta, si poteva andare a “spigolare”, e senza foglie, i vecchi meli giganti, potati con i rami a “salice piangente” mi sembravano alberi fatati.
Comunque le mele di questo albero mi parevano particolarmente buone, mele di montagna, e ne ho prese alcune (col permesso del contadino!).
Insieme alle mele ho acquistato delle pere, alcune cotogne, e delle piccole meline “champagner”, aspre e succose. Forse ne ho comprate un po’ troppe e cominciavano ad avvizzire nella fruttiera e allora:
GRAN COPPA DELL’OSPIZIO
Già, il nome lo ha inventato quella simpatica di mrs.bee, credo di aver finalmente capito che non ami particolarmente la frutta cotta!
Ho fatto una composta di mele cotogne, pere abate, melette acide, e ci ho aggiunto due profumatissimi cotogni giapponesi che avevo in giardino - quelli della foto, con tanto di fiore fuori stagione! (Chaenomeles japonica).
Ho fatto cuocere con un paio di cucchiaiate di malto di riso, un po’ d’acqua, la punta di un coltello di vaniglia naturale e delle bacche di pimento (pepe garofanato).
Ho passato al setaccio e ho lasciato raffreddare.
Ho preso un caprino fresco, uno yogurt di capra naturale, tre belle cucchiaiate di miele di castagno e ne ho fatta una cremina vellutata.
Ho preparato una gelatina con 250 gr di acqua, un cucchiaione di malto, e un cucchiaino colmo di agar-agar in polvere (mitico quello della rapunzel, finalmente un agar agar che non si “ingruma” su tutto!), ho lasciato intiepidire e l’ ho aggiunta sia alla compot di pomi vari, che alla crema beelante!
Ho versato nei bicchierini e ho riposto in frigo per alcune ore.
Ho decorato con fettine di mela caramellata.
Era fresco, poco dolce e formaggioso, il miele di castagne lascia un buon gusto amarognolo che mi piace molto con il gusto capretta! Saluti golosi cat

Quelle della foto poi, hanno un’aria buffa ma minacciosa, tipo invasione degli ultracorpi.
Un’altra cosa che mi piace ripetere è che sarebbero perfetti come modello per un paio di orecchini o una spilla, di sapore un po’ liberty un po’cinese.
Una cosa sola mi trattiene dall’assaggiarle, aver visto fare la lavanda gastrica a mio figlio piccolo, dopo il trangugiamento delle bacche di mughetto, ma vi devo dire che la tentazione è forte, sarà una tara famigliare?
Niente bacche per la ricetta di oggi, ma solo tuberi e fiori!
Ricetta semplice semplice, se non fosse per la nettatura dei carciofi!
Ho pelato alcune patate e alcuni topinambur, ho nettato i carciofi, privandoli delle foglie più dure e della poca barbetta interna, ho tagliato tutto a spicchi e ho fatto soffriggere in olio e.v.o. con due tre spicchi di aglio interi.
Ho aggiunto poche cucchiaiate di acqua, sale e polvere di peperoncino agliata e ho fatto stufare a tegame coperto.
A fuoco spento ho aggiunto un bel po’ di prezzemolo tritato.E’ una ricetta con gli ingredienti incatenati: il gusto del topinambur ricorda sia la patata che il carciofo, che ricorda il topinambur che ricorda la patata…saluti golosi cat
Ho pelato, privato del torsolo e tagliato a tocchetti circa tre chili di cotogne, attenzione, lavoro da farsi con i guanti! (altrimenti le dita diventano di un invitante colore giallo-marrone).
Ho messo a cuocere in una pentola dal fondo pesante le cotogne con tre quattro cucchiai di acqua, prima a fiamma vivace, poi a fiamma bassa bassa, finché non ho ottenuto una compot cremosa.
Ho pesato la compot e ho aggiunto due terzi del peso in zucchero di canna integrale - dulcita, no mascowado o panela ecc. cambierebbero troppo il sapore della composta!
Ho messo nuovamente sul fuoco per circa un’ora a fiamma bassa, mescolando di tanto in tanto, finché non ho ottenuto una pasta molto densa.
Ho unto di olio di mandorle una teglia larga e bassa e ci ho versato la cotognata, formando uno strato di circa due centimetri, ho livellato per bene e ho infornato in forno appena caldo per circa un’oretta (40° ventilato).
Ho coperto la teglia con carta-forno e ho portato in soffitta (freddo secco, niente umidità please!) per una settimana.
Ho capovolto la teglia, dopo i relativi riti di scongiuro, e ho tagliato la cotognata a losanghe; volendo si possono utilizzare le formine dei biscotti, ma resta tanto sfrido e tocca mangiarselo tutto!

Gli Euonymus alatus sono piante di poche pretese: pieno sole, ma si adattano anche alla mezz'ombra, amano terreni non troppo secchi, ma ben drenati, e crescono molto bene anche in vaso, specialmente la varietà E.a."Compactus", che non supera il metro e mezzo.
Hanno i rami disposti orizzontalmente e ricoperti da increspature, rouches, di corteccia, interessanti per l'aspetto invernale, sembrano dei nidi giganti.
Originari dell' asia, gli Euonymus alatus hanno cugini nostrani altrettanto interessanti, gli Euonymus europaeus, anche loro con il "botto" autunnale, messo ancora più in risalto dalle numerose bacche, ma questa è un’altra storia…

Con la resina del liquidambar, ambrata appunto e con un buon profumo balsamico e fruttato (a me ricorda l'odore dei quadri ad olio spalmati con una crostata di prugne! non che l'abbia mai sperimentato, ma a naso, potrebbe essere una combinazione plausibile) si ottiene lo storace, un fissativo usato in profumeria.
Anche i frutti sono belli, delle infruttescenze-pallottole tutte traforate e spinose che rimangono sull'albero tutto l'inverno, facendolo sembrare un albero di natale un po' dark. 






